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L’esecuzione forzata per credito fondiario prosegue anche dopo l’apertura della liquidazione controllata.

L’improseguibilità delle procedure esecutive individuali conseguente alla sentenza che dichiara l’apertura della liquidazione controllata del sovraindebitato non necrotizza l’esecuzione forzata intrapresa da un così detto “creditore fondiario”.

In sede di distribuzione (provvisoria), il liquidatore che intenda far valere delle prededuzioni con preferenza rispetto al creditore fondiario dovrà costituirsi nel processo esecutivo (assistito da un difensore) e documentare l’avvenuta emissione, da parte degli organi della procedura concorsuale, di formali provvedimenti (idonei a divenire stabili) che (direttamente o quanto meno indirettamente, ma inequivocabilmente) dispongano la suddetta graduazione

Spetta al giudice dell’esecuzione il potere di liquidazione degli ausiliari che abbiano già prestato la loro opera nella procedura, ponendo il relativo onere a carico del creditore procedente a titolo di anticipazione ai sensi dell’art. 8 D.P.R. 115/2002, così da consentire a quest’ultimo di chiederne a propria volta il pagamento in sede concorsuale mediante domanda di ammissione al passivo.

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L’onere del debitore della richiesta di parte delle misure protettive ex art. 54/2 c.c.i.i.

Laddove il debitore di una procedura individuale, che abbia altresì chiesto di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi, chieda la sospensione della prima quale misura protettiva tipica a tutela del patrimonio del ricorrente, secondo la definizione datane dall’art. 2, lett. p) e come previste dall’art. 54 co. II del CCII, il giudice dell’esecuzione è tenuto a verificare, ex actiis, se ricorrano i presupposti ai fini della sospensione ex art. 623 c.p.c., tra i quali la presenza di una specifica richiesta, nella domanda di accesso ex art. 40 del CCII, di misure protettive, in quanto, a differenza di quanto previsto dall’art. 168 l. fall. la sospensione delle procedure individuali non rappresenta più effetto automatico derivante dalla domanda di concordato preventivo. Nel caso non si ravvisi alcuna istanza di parte, il giudice dell’esecuzione è tenuto a non concedere la sospensione della procedura individuale.

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Il giudice investito di un’opposizione a decreto ingiuntivo inammissibile deve valutare la natura vessatoria delle clausole del contratto concluso tra professionista e consumatore.

Il giudice investito di un’opposizione a decreto ingiuntivo ha il potere dovere di svolgere il sindacato sulla vessatorietà delle clausole contrattuali solo se, dall’esposizione dei fatti di causa, emerge che esse abbiano inciso sull’an o sul quantum del credito.

Nel giudizio di opposizione tardiva a decreto ingiuntivo ex art. 650 cod. proc. civ., la natura vessatoria o non vessatoria delle clausole deve essere vagliata esclusivamente con riferimento a quelle clausole che, sulla base della narrazione dei fatti di causa, abbiano avuto effettivamente rilevanza ai fini della determinazione dell’an o del quantum del credito, così come, del resto, anche il giudice del monitorio ha l’onere di individuare “con chiarezza, la clausola del contratto (o le clausole) che abbia(no) incidenza sull’accoglimento, integrale o parziale, della domanda del creditore e che se ne escluda, quindi, il carattere vessatorio” (cfr. Cass. Sez. Un. 6.4.23, n. 9479). Solo in questo caso, infatti, l’eventuale giudizio di nullità delle clausole può riverberare i propri effetti ai fini dell’accoglimento della domanda del consumatore di revoca del decreto ingiuntivo opposto. Solo in questo caso, quindi, la parte ha un interesse concreto ed attuale all’accertamento della vessatorietà delle clausole stesse (cfr. art. 100 cod. proc. civ.).

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Il giudice investito di un’opposizione a decreto ingiuntivo inammissibile deve valutare la natura vessatoria delle clausole del contratto concluso tra professionista e consumatore.

Il giudice investito di un’opposizione a decreto ingiuntivo ha il potere dovere di svolgere il sindacato sulla vessatorietà delle clausole contrattuali solo se, dall’esposizione dei fatti di causa, emerge che esse abbiano inciso sull’an o sul quantum del credito.

Nel giudizio di opposizione tardiva a decreto ingiuntivo ex art. 650 cod. proc. civ., la natura vessatoria o non vessatoria delle clausole deve essere vagliata esclusivamente con riferimento a quelle clausole che, sulla base della narrazione dei fatti di causa, abbiano avuto effettivamente rilevanza ai fini della determinazione dell’an o del quantum del credito, così come, del resto, anche il giudice del monitorio ha l’onere di individuare “con chiarezza, la clausola del contratto (o le clausole) che abbia(no) incidenza sull’accoglimento, integrale o parziale, della domanda del creditore e che se ne escluda, quindi, il carattere vessatorio” (cfr. Cass. Sez. Un. 6.4.23, n. 9479). Solo in questo caso, infatti, l’eventuale giudizio di nullità delle clausole può riverberare i propri effetti ai fini dell’accoglimento della domanda del consumatore di revoca del decreto ingiuntivo opposto. Solo in questo caso, quindi, la parte ha un interesse concreto ed attuale all’accertamento della vessatorietà delle clausole stesse (cfr. art. 100 cod. proc. civ.).

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Inammissibilità della istanza di sospensione concordata in caso di rinvio della vendita.

È inammissibile l’istanza di sospensione ex art. 624 bis c.p.c. in ipotesi di rinvio della vendita ex art. 161 bis disp. att. c.p.c., non potendosi interpretare la parola “rinvio” come “rinnovo”, atteso che l’esigenza di tutelare l’affidamento degli offerenti impone di interpretare la disposizione come riferita ad un semplice differimento delle medesime operazioni di vendita e, in particolare, di quelle relative alla delibazione delle offerte ed all’eventuale gara tra gli offerenti che si svolge avanti al professionista delegato.

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L’art. 96/3 c.p.c. come strumento di repressione dell’abuso processuale e procedimentale.

La fattispecie di cui all’art. 96 c.p.c. co. 3 – diversamente da quelle dei commi 1 e 2 focalizzate sulla “temeraria” attività processuale tout court – si connota per una propria dimensione autonomistica, rappresentando un’ipotesi sanzionatoria espressione di un potere del giudice – officioso e ampiamente discrezionale – di risarcimento punitivo, dal carattere marcatamente pubblicistico, contro l’abuso dello strumento processuale, da intendersi nella sua accezione più ampia, finanche nel senso di abuso dell’iniziativa pre – esecutiva (nel caso di specie, il giudice ha attribuito al precetto valenza di attività processuale in senso lato ai fini della valutazione di temerarietà/abusività dell’azione, rilevante per l’applicazione del terzo comma dell’art. 96 c.p.c.).

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Abrogazione della formula esecutiva e disciplina transitoria: (ipotesi di) un breve vademecum.

Sommario: 1. Premessa. – 2. La disciplina normativa. – 3. Difficoltà interpretative. – 4. Criticità applicative. – 5. Segue. La fattispecie del titolo esecutivo su cui si fonda l’atto di intervento. – 6. Le conseguenze dell’omessa apposizione della formula esecutiva. – 7. (Ipotesi di) un breve vademecum.

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Il deposito della nota di trascrizione del pignoramento e la mancata previsione di un termine per l’adempimento a pena di inefficacia.

L’art. 557 c.p.c. non prevede alcun termine per la trascrizione del pignoramento e il deposito della relativa nota qualora l’adempimento sia stato curato dal creditore procedente e non dall’Ufficiale Giudiziario.
Il secondo periodo del comma 3 dell’art. 557 c.p.c. non comprende nel novero degli atti da depositare nel termine di quindici giorni a pena di inefficacia la nota di trascrizione del pignoramento e tale omissione non può essere colmata con un’estensione analogica della norma, atteso che, come noto, le disposizioni che comportano sanzioni di invalidità e inefficacia vanno interpretate in maniera rigorosamente restrittiva in ossequio al principio generale di conservazione dell’efficacia degli atti giuridici.
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